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Santi del 15 Maggio

Il mio Santo > I Santi di Maggio

*Santi 50 Martiri - Mercedari di Maleville (15 Maggio)

+ Maleville, Francia, 1563
Nel convento mercedario di Maleville presso Rodez in Francia, tutti nello stesso giorno, 50 Santi padri furono martirizzati dagli Ugonotti.
Trucidati barbaramente per la difesa della religione cattolica, nell’anno 1563 si unirono al coro dei martiri di Cristo.
L’Ordine li festeggia il 15 maggio.

(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santi 50 Martiri, pregate per noi.

*Sant’Achilleo (Achilio) il Taumaturgo - Vescovo di Larissa (15 Maggio)

Cappadocia III sec. – Larissa, Grecia, IV secolo
Sant’Achilleo fu vescovo di Larissa in Tessalia e presenziò al Primo Concilio di Nicea. Pieno di zelo e ricco di ogni virtù, si dedicò all’evangelizzazione dei popoli pagani. Godette della fama di taumaturgo.
Martirologio Romano: A Lárissa in Tessaglia, in Grecia, Sant’Achílleo, detto il Taumaturgo, vescovo, che partecipò al primo Concilio Ecumenico di Nicea ed evangelizzò le popolazioni pagane con zelo apostolico contrassegnato da ogni virtù.
Achille o Achilio, nacque in Cappadocia (provincia romana dal 18 d.C.) in una famiglia patrizia, crebbe e si formò sotto l’impero di Costantino I il Grande (280-327).
I suoi genitori si preoccuparono di dargli una formazione e istruzione, secondo le più evolute dottrine dei sapienti e filosofi pagani dell’epoca, seguendo nel contempo le pratiche di pietà e
carità suggerite dal cristianesimo, che andava affermandosi nonostante le persecuzioni.
Alla morte dei genitori, Achille distribuì i suoi beni ai poveri e si recò in Palestina, prima tappa del suo pellegrinare, pregò presso il Santo Sepolcro, poi s’imbarcò per Roma a cercare conforto presso le tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e sul loro esempio, partì da Roma e prese ad evangelizzare intere regioni, portando alla fede cristiana moltitudini di pagani.
Durante i suoi viaggi missionari, giunse a Larissa, città della Tessaglia (regione della Grecia); in quel tempo la sede vescovile era vacante, per cui il clero e il popolo, unanimemente offrirono la cattedra all’illustre ospite
Nella nuova carica, Achille incrementò il suo zelo, acquistando gran fama in ogni contrada della regione, fra l’altro permise la fondazione di un ospedale e di un ricovero per i vecchi.
Si sa che nel 325 partecipò al Concilio di Nicea, e fu tra i vescovi che combatterono l’eresia di Ario (280-336); al ritorno da Nicea si fermò a Costantinopoli, accolto con onori dal patriarca Mitrofane e dove ricevette nuove dignità dall’imperatore Costantino, che ammirato per il suo efficace apostolato, gli donò copiosi fondi per costruire chiese ed ospedali nella diocesi di Larissa.
Ritornato nella sua città, Achille fece abbattere tutti i rimanenti templi pagani, sostituendoli con imponenti edifici cristiani.
Ebbe il dono di operare miracoli e guarigioni, aveva il potere di scacciare i demoni; per le numerose guarigioni operate, Achille fu sempre ricordato come “il Taumaturgo”.
Dopo aver governato per molti anni la diocesi con saggezza e santità, morì a Larissa verso la metà del secolo IV.
Le sue reliquie rimasero in città fino al 978, quando Samuele di Bulgaria invase la Grecia, esse furono trasportate a Prespa (odierna Achilli) in Macedonia, come bottino di guerra e sistemate nella chiesa più importante di Prespa, officiata dai conquistatori.

La diocesi e città di Larissa, venera Sant'Achille come suo patrono, celebrandone la memoria nella cattedrale a lui dedicata, il 15 maggio.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant’ Achilleo il Taumaturgo, pregate per noi.

*Sant'Alvardo - Martire (15 Maggio)
+ 15 maggio 1043
Nato in Norvegia, secondo una leggenda tardiva, da un ricco commerciante di nome Vebjorn e da Thorny, una zia del re Olaf, di cui pertanto era cugino, fu ucciso mentre cercava di difendere una donna accusata ingiustamente di furto.
Il fatto sarebbe accaduto il 15 maggio 1043.
Il suo culto è attestato nei martirologi solo dalla fine del sec. XV, però dal 1130 gli fu dedicata la cattedrale di Oslo, in cui fu sepolto.
La sua festa si celebra il 15 maggio in tutta la Norvegia.

(Autore: Nybo Rasmussen – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Alvardo, pregate per noi.

*Beato Andrea Abellon - Domenicano (15 Maggio)  

Saint Maximin, 1335/75 - Aix, 1450
Nativo di San Massimino in Provenza, entrò giovanissimo nel locale convento di San Massimino dedicato a Santa Maria Maddalena. Maestro di teologia e attivo predicatore, promosse energicamente la disciplina regolare. Diede gloria a Dio, non solo con un fecondo ministero apostolico, ma anche con un raro talento per la pittura. Morì ad Aix dove si era recato per assistere gli appestati.
Andrea Abellon nacque a Saint Maxim, in Francia nel 1375. Giovanissimo entrò tra i Domenicani di quella città, i quali custodivano le reliquie di S. Maria Maddalena. Da vero figlio del Padre
Domenico congiunse la santità alla dottrina e fu predicatore ascoltatissimo. In questo sacro ministero, tutto proprio dell’Ordine, fu instancabile, riposandosi solo con la morte.
Fu Professore di Teologia a Montpellier, Parigi e Avignone. Fu anche provetto nell’arte della pittura, e come tanti altri suoi confratelli, si servì delle attrattive del bello per innalzare il cuore dei fedeli all’amore delle cose celesti.
L’impulso dato al movimento di riforma dal Beato Raimondo da Capua, e che parve rallentare con la sua morte, riprese nuovo vigore sotto l’energico governo del Maestro Generale Bartolomeo Texier.
Tra i generosi che lo coadiuvarono e lavorarono seguendo le sue direttive va annoverato Andrea Abellon che svolse l’opera restauratrice nella Provincia di Provenza, con risultati consolantissimi. Egli riuscì a stabilire la riforma nei conventi di Arles, Aix e Marsiglia.
Ma, più che con le parole, egli trascinò con la forza irresistibile dell’esempio. Nonostante le fatiche del ministero fu fedelissimo ai digiuni e alle altre opere di penitenza prescritte dalle leggi dell’Ordine, a cui aggiunse molte altre austerità.
Questa eroica mortificazione dette ali al suo spirito per sollevarsi nei cieli di quella contemplazione che fu la sorgente feconda di ogni sua attività.
Morì ad Aix, il 15 maggio 1450, dove si era recato per confortare gli abitanti afflitti dalla peste. E’ sepolto nella chiesa conventuale di Saint Maximin, davanti all’altare maggiore, dove ancor oggi i fedeli non cessano di recarsi a venerarlo e pregarlo. Papa Leone XIII il 19 agosto 1902 ha confermato il suo culto.

(Autore: Franco Mariani - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Andrea Abellon, pregate per noi.

*Beata Berta di Bingen - Madre di San Ruperto (15 maggio)
† Bingen (Germania), IX secolo
Nell’elenco degli innumerevoli Santi venerati dalla Chiesa Cattolica, si trova molto spesso, che all’origine della santità di vari personaggi, vi è l’educazione, la formazione cristiana, la fede in Cristo, trasmesse dalle loro madri, che in vari casi sono venerate anch’esse come sante o beate; ad esempio Santa Monica e Sant' Agostino, Sant' Elena e San Costantino, Serva di Dio Mamma Margherita e San Giovanni Bosco, ecc.
E a queste sante figure di donne, appartiene la Beata Berta madre di San Ruperto di Bingen; la ‘Vita’ dei due Santi fu compilata per onorarne la memoria, dalla badessa del monastero di Bingen (diocesi di Magonza) dov’erano le reliquie, santa Ildegarda (secolo XII), la quale apprese le notizie tramite le sue note visioni mistiche.
Berta vissuta nell’VIII secolo, era figlia del duca Loreno, principe tedesco di una regione non precisata; fu destinata in sposa al principe pagano Robolao (o Roboldo), al tempo di Carlo Magno
(742-814), ricevendo una cospicua dote consistente in vasti territori lungo la regione del Reno.
Essendo cristiana praticante, cercò di convertire il marito ma senza riuscirci; quando questi, ancora giovane morì combattendo, Berta affrontò la vedovanza con coraggio e si ritirò con il figlioletto di tre anni Ruperto, nella sua proprietà di Bingen (Germania), dedicandosi con molto zelo alla sua educazione cristiana.
Ruperto crebbe fedele agli insegnamenti materni e con il consiglio del prete Wigberto suo tutore e direttore spirituale, fu avviato alle pratiche devozionali e alle opere di beneficenza.
La madre Berta lo associò, già quando aveva 12 anni, alla fondazione di un monastero nei paraggi di Bingen e di un ospizio per i poveri; l’opera di misericordia verso i più deboli continuò in una fruttifera collaborazione fra madre e figlio e fu troncata solo dall’immatura morte a 21 anni di Ruperto.
Berta ne provò grande dolore, mitigato dalla consolazione di vedere la venerazione di cui egli fu subito oggetto presso la popolazione.
Dopo il lutto, Berta prese a vivere una vita di preghiera e penitenza, dando i suoi beni e ricchezze per il sostentamento dei monaci, che vivevano nel monastero dov’era il sepolcro di Ruperto.
Sopravvisse al figlio circa 25 anni, la morte la colse verso la metà del secolo IX; fu sepolta presso la tomba del figlio che era diventata meta di pellegrinaggi, tanto che l’intera zona prese il nome di Rupesberg.
Durante le invasioni normanne del sec. X, le due tombe furono violate, ma il loro culto si conservò.  Berta fin dai primi tempi fu considerata "Beata" e la sua festa, insieme a San Ruperto si celebra il 15 maggio.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Berta di Bingen, pregate per noi.

*Santi Bohtiso, Isacco e Simeone - Martiri in Persia (15 maggio)
Bohtiso, Isacco e Simeone caddero vittime di una delle feroci repressioni promosse da Sapore contro i cristiani sospetti di simpatia per l'impero romano.
Le uniche notizie pervenute intorno a questo gruppo di martiri si ricavano dall'elogio inserito nel Menologio di Basilio II Porfirogenito, compendiato e alterato dal Sinassario Costantinopolitano.
Secondo la prima di queste due fonti, Simeone, Isacco e Bohtiso furono denunziati a Sapore II (310-379), acceso sostenitore del mazdeismo.
Citati in tribunale, si rifiutarono di sacrificare ai simulacri mazdeici, sole e fuoco, riconoscendo in essi solo creature del vero Dio. Sapore, giudicate insolenti le risposte, comandò che subissero l'amputazione delle mani e dei piedi.
I martiri, dopo il supplizio, furono rinchiusi in carcere; vi rimasero sette giorni senza prender cibo e ne uscirono per essere sottoposti a nuovi tormenti ed essere infine decapitati.
Secondo il Sinassario Costantinopolitano, invece, Isacco e Simeone, guidati da Bohtiso, meritarono la corona di martiri, consumandosi sul rogo approntato dai persiani.
Il Martirologio di Rabban Sliba, il 15 maggio (ayyar), reca una breve menzione del gruppo, ponendovi a capo Bohsito.
I Bollandisti, ispirandosi al solo Menologio di Basilio, considerano Simeone capogruppo. Nel Calendario Palestino - Georgiano del Sinaitico 34 (sec. X) la rubrica del 24 settembre porta un nome di difficile lettura: «bak' t'isi» Infatti tutte le altre fonti commemorano i martiri al 15 maggio.
(Autore: Maria Vittoria Brandi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Bohtiso, Isacco e Simeone, pregate per noi.

*San Caleb (o Elesbaan, Elsebaan) - Re d’Etiopia (15 maggio)
+ Gerusalemme, 555 circa
Martirologio Romano:
In Etiopia, San Caleb o Elésbaan, re, che per vendicare l’uccisione dei martiri di Nağrān affrontò vittoriosamente in battaglia i nemici di Cristo; dopo avere inviato, al tempo dell’imperatore Giustino, il suo diadema regale a Gerusalemme, si ritiene che, come era stato nei suoi desideri, si sia riturato a vita monastica, prima di fare ritorno al Signore.
Numerosi sono stati in ormai due millenni di cristianesimo i casi di sovrani e talvolta intere
famiglie reali ascese alle più alte vette della santità, ma in tale settore i meno famosi sono indubbiamente i molti monarchi etiopi dai nomi spesso impronunciabili venerati come santi dalla locale Chiesa copta. Uno di essi, Sant’Elsebaan, vissuto nel VI secolo, è però commemorato anche dal Martyrologium Romanum che pone la sua festa al 15 maggio.
La sua vicenda è strettamente legata alla vicenda dell’eccidio dei martiri di Nagran, città posta nella penisola arabica nel territorio dell’odierno Yemen.
Tale zona era stata conquistata dagli etiopi all’inizio del VI secolo, che ne avevano curato anche la diffusione del cristianesimo, ma un giorno il giudeo Dunaan innescò una rivolta che portò all’uccisione del principe Areta, di sua moglie e delle quattro figlie, nonché di altre centinaia di cristiani.
Il patriarca di Alessandria d’Egitto scrisse allora ai vescovi orientali raccomandando loro di venerare come Santi martiri le vittime, che anche dai cattolici sono oggi festeggiate al 24 ottobre, e con l’aiuto dell’allora imperatore Giustino spinse il re axumita Elsebaan a vendicare l’eccidio. Questi non si tirò assolutamente indietro, riconquistò lo Yemen, uccise Dunaan e si impossessò anche della sua principale roccaforte.
Lo storico Alban Butler sostenette che il re “dopo aver sconfitto il tiranno grazie alla benedizione divina, gestì la sua vittoria con mirabile clemenza e moderazione”, ma come invece fu poi messo in luce tale ricostruzione dei fatti non corrispondeva affatto alla realtà, poiché sia in battaglia che nei successivi rapporti avuti con gli ebrei Elsebaan dimostrò sempre grande ferocia e crudeltà.
La tradizione vuole comunque che al termine della sua vita il monarca abbia preferito abdicare in favore del figlio, donando la sua corona alla chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme e trascorrendo gli ultimi tempi della sua vita quale eremita esemplare presso la città santa. Qui morì santamente verso l’anno 555.
La singolare vicenda di Areta e dei suoi compagni nel XVI secolo a giudizio del cardinale Baronio meritò di essere citata anche nel Martirologio Romano, soprassedendo al fatto che tutti costoro fossero assai probabilmente seguaci dell’eresia monofisita, forse poiché la sua conoscenza alquanto sommaria delle Chiese d’Oriente non gli fece neppure sfiorare il dubbio dell’ortodossia dottrinale della Chiesa etiope.
L’inserimento nel calendario cattolico toccò così anche al re Elsebaan, che divenne l’unico tra i numerosi Santi sovrani etiopi ad essere venerato dalla Chiesa universale.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Caleb, pregate per noi.

*Santi Cassio e Vittorino - Martiri (15 maggio)

sec. III

Martirologio Romano: A Clermont-Ferrand in Aquitania, nel territorio dell’odierna Francia, Santi Cassio e Vittorino, martiri, che si ritiene abbiano subito il martirio sotto Croco, capo degli Alamanni.
Santi Cassio, Vittorino, Massimo e compagni, Martiri a Clermont (Alvernia).
É tramandato che Cassio, senatore e Vittorino, sacerdote pagano, siano stati convertiti da san Austremonio.
La Vita di Cassio sembra sia stata scritta da San Proietto, vescovo di Clermont, ma essendo andata perduta, fu sostituita con un'altra redazione priva, peraltro, di qualsiasi interesse storico.
Secondo Gregorio di Tours Cassio e Vittorino subirono il martirio sotto Croco, re degli Alemanni e, intorno al 264, fu costruita in loro onore a Clermont una basilica.
Nei libri liturgici di Clermont la festa di entrambi questi martiri è fissata al 15 maggio; il Martirologio Romano, senza che se ne comprenda la ragione, aggiunge a Cassio e Vittorino anche il martire Massimo e altri tre compagni.

(Autore: Pierre Villette – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Cassio e Vittorino, pregate per noi.

*Santa Cesarea - Eremita ad Otranto (15 maggio)

Etimologia: Cesarea = femminile di Cesareo che significa ‘devoto a Cesare’ ed è di chiara origine latina.
Santa  Cesarea nacque in un dicembre del secolo XIV da Luigi e Lucrezia, dopo una attesa di oltre dieci anni dal matrimonio e al termine di una pia pratica delle devozioni sabatine, suggerita da un eremita Giuseppe Benigno.
Rimasta orfana della madre quando era ancora adolescente, Cesarea fu costretta ad abbandonare la casa dei genitori, per sfuggire alle insane tentazioni del padre; si rifugiò in una grotta della marina di Castro, sotto un colle roccioso presso Otranto.
Qui visse la sua vita di privazioni e di preghiera, votata ad una totale dedizione a Dio, divenendo una eremita la cui fama si estese in tutta la Terra d’Otranto.
Dopo la sua morte avvenuta nella grotta da dove non era più uscita, sempre nel secolo XIV, fu eretta una chiesa sul posto, che divenne centro del suo culto fin dal secolo XVII.
Nel 1924 essa fu affidata ai Francescani che la sostituirono con una nuova, eretta poi in parrocchia nel 1954.
In onore di Santa Cesarea sorsero altre chiese nei centri del Salentino, in particolare a Francavilla Fontana (Brindisi) che alcune tradizioni classificano come patria d’origine della Santa.
Patrona di Porto Cesareo in provincia di Lecce; la sua festa liturgica è al 15 maggio.
La città di Santa Cesarea Terme festeggia la sua patrona l’11 settembre di ogni anno, data tradizionale dell’evento della fuga di Cesarea, con una processione che dopo aver percorso tutte le vie della cittadina termina con un corteo di barche alla grotta dove sarebbe vissuta e morta.  
Il culto è molto diffuso in tutta la Puglia e il nome Cesarea è molto usato in tutta la provincia leccese.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Cesarea, pregate per noi.

*Beati Diego da Valdieri e Clemente da Bressanone - Francescani, Martiri (15 maggio)
+ San Secondo di Pinerolo, 15 maggio 1655
Diego nacque a Valdieri. Entrò tra i Minori Riformati di San Francesco. Fu predicatore e missionario.
Fu inviato nelle valli pinerolesi a predicare contro i valdesi, assieme al confratello Clemente da Bressanone.
La loro azione produsse conversioni ed approvazioni.
Ma il 15 maggio 1655 furono assassinati, con un ragazzo di quattordici anni, Giacomo Bima, nei pressi di San Secondo di Pinerolo.
La sua memoria cade il 15 maggio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Diego da Valdieri e Clemente da Bressanone, pregate per noi.

*San Dimidriano (Dimitriano) di Verona - Vescovo (15 maggio)

San Dimitriano (Dimidriano nella Bibliotheca Sanctorum) è il secondo vescovo di Verona. Nella cronotassi ufficiale della diocesi scaligera figura dopo il protovescovo Sant’Eupreprio e prima di San Simplicio.
Di lui non sappiamo quasi nulla. Il suo nome ci potrebbe indicare la sua origine greca.
La tradizione lo vuole santo di nome per le sue virtù.
Nel "Catalogus Sanctorum Ecclesiae Veronensis", Mons. Franco Segala ne trascrive l’elogium dal Martirologio della chiesa veronese: "Veronae sancti Dimitriani eiusdem civitatis episcopi (qui cum omnium episcopalium virtutum esset exemplar, etiam vivens, vir sanctus est appellatus)
La data della sua morte è incerta all’11 o 15 maggio.
Da un’antica pergamena sappiamo che fu sepolto nella cripta della chiesa di Santo Stefano.
Nel martirologio diocesano, era ricordato nel giorno della sua festa il giorno 15 maggio, fino alla riforma del Proprio veronese, del 1961, voluta dal vescovo Carraro, quando venne annoverato nella festa comune di tutti i vescovi veronesi, e la sua festa venne a cessare.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Dimidriano, pregate per noi.

*San Donnino di Piacenza - Diacono (15 maggio)
V sec.

San Donnino è un diacono di Piacenza. Su di lui ci sono rimaste solo delle scarne notizie che si trovano nel testo sulla sua "Memoria" di Rufino monaco del monastero di san Savino nel XIII secolo, e citata nell’Italia sacra, dell’abate Ferdinando Ughelli.
In quel testo si narra che Donnino era di origine piacentina e fu un diacono di San Mauro, terzo vescovo di Piacenza, e morto nel 449.
Morì nel 443 e fu sepolto sotto l’altare della chiesa del monastero delle Mose, nella zona nord di Piacenza, dove prosperava una grande comunità di monaci che custodivano i corpi dei Santi Savino, Gelasio, Vittore e Vittoria.
Alcuni storici, tra cui anche il Campi nella sua "Historia ecclesiastica", avanzano l’ipotesi che Donnino fosse stato ammesso fra i chierici di S. Savino, mentre altri storici lo indicano quale monaco del monastero delle Mose.
Il nome di San Donnino è comunemente associato a San Vittore, pure diacono piacentino vissuto nella stessa epoca.
I suoi resti si conservavano nella chiesa del monastero delle Mose. Dopo l’incendio di quella chiesa del 902, avvenuto durante un’incursione degli Ungari, le sue reliquie furono trasportate dal vescovo Everardo, nella cripta della chiesa di San Savino, che era stata costruita all’interno della città.
Il culto di San Donnino, non è per niente diffuso e nel proprio della diocesi viene ricordato nella festa di tutti i santi piacentini.
Alcuni storici affermano che di lui non esistono immagini né leggende popolari. In realtà esiste un’immagine di San Donnino posta sull’altare della cripta della chiesa di San Savino.
Nell’opera di uno scultore lombardo del 1481, commissionata dall’abate Rufino Landi, il nostro santo è presentato a mani giunte, girato verso la Madonna.  
Un’altra sua immagine leggendaria del 1888, lo raffigura insieme a san Vittore sul muro della cappella del seminario cittadino.
Fino all’ultima riforma liturgica esisteva un ufficio e messa del comune dei confessori non pontefici, per San Donnino alla data del 15 maggio.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Donnino, pregate per noi.

*Beato Egidio da Vauzela - Domenicano (15 Maggio)  

Vauzela, 1190 - Santarem, 1265
Nato a Vaozela in Portogallo da una nobile famiglia, fu presto avviato alla carriera ecclesiastica, cumulando diversi benefici e spendendone le rendite in una vita tutt'altro che religiosa. Studiò a Parigi medicina, nel cui esercizio acquistò una notevole fama.
Nel 1220 o nel 1225 distribuì tutti i suoi averi ai familiari e ai poveri ed entrò nell'Ordine dei Frati Predicatori. Compì i suoi studi
filosofici e teologici e conobbe da vicino il Beato Giordano di Sassonia e Umberto de Romans.
Nel 1229 fece ritorno in patria dove si dedicò all'insegnamento e alla predicazione. Nel 1233 fu eletto provinciale di Spagna, ufficio che ricoprì due volte. Ancora vivente acquistò fama di santità oltre che di dottrina. Morì a Santarem nel giorno dell'Ascensione, il 15 maggio.
Egidio nacque da nobili genitori a Vauzela, in Portogallo nel 1190. Fin dai primi anni fu applicato agli studi di medicina, ai quali si dedicò con ardore.
Abbracciato lo stato ecclesiastico fu provveduto dai nobili parenti di ricchi benefici ecclesiastici.
L’incauto giovane non pensò allora che a procurarsi onori e piaceri nella più larga misura. Per giungere là, dove sognava la sua smodata ambizione, e rendersi celebre nell’arte della medicina, firmò un patto occulto col demonio, al quale sì dette anima e corpo. Giunto in fondo all’abisso d’ogni vizio, il Signore, come un altro San Paolo, l’atterrò sulla via della perdizione con una terribile visione. Svegliato come da un sonno di morte, Egidio ebbe orrore di se stesso e, seguendo quella meravigliosa luce, incominciò la sua laboriosa riabilitazione. Lasciò l’infausta Parigi e s’incamminò verso la Spagna.
A Palenza, nel 1224, dato un addio a tutte le cose, si fece Frate Predicatore. Iniziò così l’aspra penitenza che terminò solo con la morte.
Il demonio prese le sue rivincite e per sette anni lo assalì con orribili tentazioni di disperazione, finché la Madonna, in segno del divino perdono, gli fece rendere quella scritta infernale con cui s’era donato al nemico.
L’abbondanza delle divine grazie cominciò a fluire nell’anima di questo grande penitente, che parve vivere più in cielo che in terra. Svolse così un apostolato fecondissimo e resse santissimamente la sua Provincia dal 1233 al 1245. Mori ottuagenario, senza agonia, consunto dal divino amore nel convento di Santarem il 14 maggio 1265, Solennità dell’Ascensione.
Segni e profumi celesti ornarono la sua tomba. Le sue reliquie si conservano oggi a San Martino do Porto, presso Lisbona, in una casa privata. Il suo culto popolare è stato confermato da Papa Benedetto XIV il 9 maggio 1748.

(Autore: Franco Mariani - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Egidio da Vauzela, pregate per noi.

*Sant'Ellero (Ilaro) di Galeata - Abate (15 maggio)
Tuscia, 476 - 15 maggio 558
Nacque in Tuscia nel 476. A dodici anni, nell'ascoltare la lettura del brano di Lc. 14, 26, decise di darsi alla vita solitaria: lasciò la casa paterna, si inoltrò sull'Appennino, scese verso l'Emilia e scelse per propria dimora, dietro indicazione di un angelo, un monte della valle del Bidente a circa un miglio dal fiume.
In quel luogo costruì in tre anni una cappella dove pregare e, sotto di essa, una spelonca dove alloggiare, procurandosi il vitto col proprio lavoro.
A vent'anni passò dalla vita eremitica a quella cenobitica: infatti un nobile ravennate, Olibrio, pagano e posseduto dal demonio, fu condotto al santo perché lo esorcizzasse. Olibrio fu liberato dallo spirito maligno, fu battezzato con tutta la sua famiglia e, essendogli morta poco dopo la moglie, si offerse insieme coi due figli come compagno di vita monastica ad Ellero: donò al santo i suoi averi e tra l'altro un piccolo terreno poco lontano, da lavorare. Sorse così, verso il 496, il nucleo monastico di Galeata.
Altri miracoli compiuti dal santo e, aggiungiamo noi, lo smarrimento e lo sconcerto provocato dai grandiosi e terribili eventi di quegli anni (caduta dell'impero ed invasioni barbariche in Italia), gli
recarono nuovi discepoli.
La regola che egli fece osservare era semplicissima, non molto dissimile, a quanto pare, da quella di San Pacomio (quale del resto troviamo seguita in tutti i monasteri occidentali prima di s. Benedetto): essa era basata sulla preghiera comune, sul digiuno, sul lavoro dei campi, sulla pratica della carità, per cui ogni monaco, ed Ellero primo fra tutti, lavava i piedi al proprio fratello e gli offriva ogni più umile servizio. Notevole il particolare che ogni monaco doveva far benedire dal "padre" (poi abate) tutti i frutti della terra per liberarli da ogni influsso demoniaco: il monaco Glicerio, infatti, che non si era attenuto a questa norma, ebbe la sorpresa di veder mutarsi dell'uva in un serpente.
Teodorico stesso (493-526), che aveva fatto costruire un palazzo non lontano dal monastero di Ellero, quantunque in un primo tempo tentasse di molestare i monaci, in seguito, anche per essersi compiuti avvenimenti prodigiosi, si mostrò assai benevolo verso di loro e donò al monastero beni e terreni. Ellero morì all'età di ottantadue anni, il 15 maggio del 558.
Questa è la sua Vita, ma quale ne sarà il valore? Il suo autore, si dichiara discepolo del santo e testimone oculare degli ultimi avvenimenti della di lui vita. Tale asserzione merita fede? Sull'argomento il Lanzoni ha scritto un ottimo lavoro, purtroppo ancora manoscritto nella Biblioteca Comunale di Faenza.
In esso l'insigne agiografo faentino fa un'ampia analisi dei dati stilistici, topografici, cronologici, onomastici e soprattutto di quelli offerti dalla descrizione di usi monastici, dall'andamento del racconto, ecc., e conclude che la Vita Sant’ Hilari è veramente opera di un contemporaneo il quale fu testimone dell'ultima parte della vita del santo e per il resto attinse a tradizioni popolari e monastiche.
Lo scrittore si prefisse lo scopo non solo di narrare la vita del fondatore, ma altresì di porre in inscritto le linee fondamentali della regola del monastero di Galeata come dimostrano le lunghe illustrazioni che ne fa.
Naturalmente, nella sua redazione, l'autore seguì - forse un po' troppo semplicisticamente - gli schemi usuali dell'agiografia contemporanea, la quale nel santo vedeva spesso solo il taumaturgo, moltiplicava a iosa interventi ed apparizioni di angeli e di demoni, e poneva in bocca ai protagonisti lunghe preghiere o discorsi centonati da testi biblici, dalle Passiorles Martyrum e dalle Vitae Patrum.
E così fece il nostro scrittore, componendo più un panegirico che una vera storia. In particolare la liberazione diOlibrio dall'ossessione demoniaca rassomiglia troppo a racconti del genere di cui è piena l'agiografia del tempo (cf. Sant' Abercio, Sant' Apollonia, San Gordiano, San Ciriaco diacono, Sant' Epifanio di Cipro, San Vito martire, San Potito, le Gesta Marcelli) ecc.) per non apparirne un derivato.
Anche l'incontro del santo con Teodorico è già trasfigurato dalla tradizione popolare che negli imponenti avanzi dell'acquedotto romano di Galeata, vedeva un ennesimo palazzo di Teodorico. Comunque, conclude il Lanzoni, "l'opera, nella penuria di documenti di quel tempo, è tutt'altro che disprezzabile".
Il culto a Sant’ Ilario, o Sant’ Ellero (secondo la dizione toscana) è molto diffuso in Toscana ed in Romagna: specialmente nelle diocesi di Arezzo, Sarsina, Forlì, Bertinoro, Faenza, Imola, Modigliana, Fiesole, Firenze e nell'abbazia di Farfa. Il Santo è particolare protettore di Lugo; la sua festa è celebrata il 15 maggio.
(Autore: Giovanni Lucchesi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ellero (Ilaro) di Galeata, pregate per noi.

*Sant'Eufrasio di Illiturgi - Vescovo e Martire (15 maggio)
É uno dei sette Varones Apostolicos e avrebbe fondato, secondo la passio, la sede di Illiturgi, oggi Andujar, in Spagna. Le reliquie sarebbero state portate a Samos (Galizia) in occasione dell'invasione dei musulmani.
Nel 1576, su richiesta di Re Filippo II, parte di esse fu data al monastero di san Lorenzo dell'Escorial e parte alla città di Anujar.
La memoria di Eufrasio è posta al 15 maggio, insieme con i compagni; il Ferrari lo ricorda anche il 18 maggio, come patrono di Jaén, e lo pseudo-Dexter lo identifica, a torto, con il vescovo di cui fanno memoria al 14 gennaio il Martirologio Geronimiano, il Martirologio Romano e quello di Usuardo.
Ad Aiaccio è venerato come patrono un Eufrasio che, secondo il Lanzoni, potrebbe essere il vescovo di Illiturgi.

(Autore: Justo Fernandez Alonso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eufrasio di Illiturgi, pregate per noi.

*Sant'Eutizio di Ferento - Martire (15 maggio)
Emblema: Palma
La più antica e unica sicura notizia su Eutizio è data da San Gregorio Magno, il quale racconta che il vescovo di Ferento, Redento, trovandosi un giorno in visita pastorale nella diocesi, "pervenit ad ecclesiam beati martyris Eutychii", e volle passare la notte "iuxta sepulcrum martvris".
Secondo una passio , notevolmente inquinata dalla leggenda, Eutizio era presbitero a Ferento; ritornato da Faleri, dove aveva celebrato la Messa in onore dei martiri Gratiliano e Felicissima, fu arrestato dai soldati del tribuno Massimo, al tempo dell'imperatore Claudio.
Nonostante un tentativo del vescovo del luogo, Dionisio, per liberarlo, fu sottoposto a tormenti e quindi decapitato il 15 maggio. Lo stesso Dionisio ne curò la sepoltura in una cripta a quindici miglia circa da Ferento. Dopo la pace costantiniana, il corpo del martire fu posto in una cassa marmorea e sul sepolcro fu costruita una chiesa.
É impossibile precisare quando egli sia morto: con molta probabilità dovette perire nella
persecuzione di Diocleziano, ma di lui niente si conosce. Nei pressi della sua chiesetta si trova un cimitero cristiano, in cui fu trovata un'iscrizione del 359.
Il culto di Eutizio si diffuse ben presto nell'alto Lazio; i comuni di Soriano e Carbognano, oltre ad erigere in suo onore chiese e cappelle, lo hanno scelto come patrono principale e ne hanno riprodotto l'immagine sullo stemma municipale.
Nel 1244 la custodia della chiesa di Eutizio fu affidata dal Papa Innocenzo IV ai Benedettini, che vi rimasero fino al 1400.
Nel 1496, mentre si ricostruiva la chiesa a lui dedicata, caduta in rovina, fu trovato un sarcofago marmoreo con ossa corrose e, dalle notizie contenute nella passio, si dedusse che si trattava del corpo di Eutizio Nel sec. XVII fu eretta la Confraternita di Sant’Eutizio e nel 1744 la chiesa fu affidata a San Paolo della Croce, che vi costruì un ritiro per i suoi Passionisti.
Questi la conservano tuttora e l'hanno resa imponente con nuove costruzioni e opere sociali, rendendola un'insigne santuario, meta di numerosi pellegrinaggi.
Nel folklore locale è nota la così detta "manna" di Sant’ Eutizio, della quale si parla già nell'appendice alla passio del santo e di cui si dice che sgorgasse dalla "pietra di Sant’ Eutizio" un liquido biancastro e talvolta anche vermiglio, il cui uso avrebbe operato delle guarigioni miracolose. Nell'iconografia Eutizio è rappresentato generalmente con le vesti sacerdotali, ma talvolta, come nell'antico sigillo e nello stemma di Carbognano, con un mazzo di spighe nelle mani.
(Autore: Agostino Amore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eutizio di Ferento, pregate per noi.

*Beato Girolamo da Mondovì - Mercedario (15 maggio)
Originario di Mondovì (Italia), il Beato Girolamo, lasciò gli onori del mondo e con grande gioia, su consiglio della Madonna, abbracciò l’Ordine Mercedario.
Passò la sua vita nel convento di Sant’Eulalia in Montpellier (Francia) e fu anche cancelliere dell’Università della stessa città finché, come un angelo di Dio, morì in pace.
L’Ordine lo festeggia il 15 maggio.
(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

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*Sant'Isidoro l'agricoltore - Laico (15 maggio)
Madrid (Spagna), ca. 1080 - 15 maggio 1130
Nacque a Madrid intorno al 1070 e lasciò giovanissimo la casa paterna per essere impiegato come contadino.
Grazie al suo impegno i campi, che fino allora rendevano poco, diedero molto frutto.
Nonostante lavorasse duramente la terra, partecipava ogni giorno all'Eucaristia e dedicava molto spazio alla preghiera, tanto che alcuni colleghi invidiosi lo accusarono, peraltro ingiustamente, di togliere ore al lavoro.
Quando Madrid fu conquistata dagli Almoravidi si rifugiò a Torrelaguna dove sposò la giovane Maria.
Un matrimonio che fu sempre contraddistinto dalla grande attenzione verso i più poveri, con cui condividevano il poco che possedevano.
Nessuno si allontanava da Isidoro senza aver ricevuto qualcosa. Morì il 15 maggio 1130.
Venne canonizzato il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV. Le sue spoglie sono conservate nella chiesa madrilena di Sant'Andrea. (Avvenire)
Patronato: Madrid
Etimologia: Isidoro = dono di Iside, dal greco
Martirologio Romano: A Madrid nella Castiglia in Spagna, Sant’Isidoro, contadino, che insieme con sua moglie la Beata Maria de la Cabeza attese con impegno alle fatiche dei campi, cogliendo con pazienza la ricompensa celeste più ancora dei frutti terreni, e fu vero modello di contadino cristiano.
Forse è stato messo poco in risalto l’ambizioso traguardo di “santità di coppia” che due semplici contadini di Madrid sono riusciti a raggiungere nel XII secolo: probabilmente perché la pratica devozionale ha fatto prevalere, nel marito, l’aspetto prodigioso e miracolistico, e la popolarità che lui si è guadagnato praticamente in tutto il mondo come patrono dei raccolti e dei contadini ha finito per oscurare un po’ quella di lei, che pure si è fatta Santa condividendo gli stessi ideali di generosità e laboriosità del marito, raggiungendo la perfezione tra casseruole, bucati e lavori nei campi.
Parliamo di San Isidoro di Madrid e della Beata Maria Toribia, la cui festa si celebra nel mese di maggio (il 10 o il 15, dipende dai calendari), anche se lui, per il fatto di essere patrono dei campi, viene invocato e festeggiato praticamente in ogni stagione dell’anno, al tempo della semina come al tempo dei raccolti.
Isidoro nasce a Madrid intorno al 1070 da una poverissima famiglia di contadini, contadino egli stesso tutta la vita, per necessità.
Non sa né leggere né scrivere, ma sa parlare con Dio. Anzi, a Dio dedica molto tempo, sacrificando il riposo, ma non il lavoro, al quale si dedica appassionatamente.
E quando l’urgenza di parlare con Dio arriva anche durante il lavoro, sono gli angeli a venirgli in aiuto e a guidare l’aratro al posto suo: un modo poetico e significativo per dire come Isidoro abbia imparato a dare a Dio il primo posto, senza venir mai meno ai suoi doveri terreni.
Per i colleghi invidiosi è facile così accusarlo di “assenteismo”, ma è il padrone stesso a verificare che Isidoro ha tutte le carte in regola, con Dio e con gli uomini.
L’invidia, che è davvero vecchia quanto il mondo, gli procura anche un’accusa di malversazione e di furto ai danni dell’azienda, perché ha il “brutto vizio” di aiutare con i generosità i poveri, attingendo abbondantemente da un sacco, il cui livello tuttavia non si abbassa mai.
E pensare che la generosità di Isidoro non si limita alle persone, ma si estende anche agli animali della campagna, ai quali d’inverno non fa mancare il necessario sostentamento.
In questo continuo esercizio di carità e preghiera è seguito passo passo dalla moglie Maria, che una certa agiografia ha dipinto dapprima avara e poi “conquistata” dall’esempio del marito.
Certo è comunque che sulla strada della perfezione avanzano entrambi, sostenendosi a vicenda e aiutandosi anche a sopportare i dolori della vita, come quello cocente della morte in tenerissima età del loro unico figlio.
Isidoro muore nel 1130 e lo seppelliscono senza particolari onori nel cimitero di Sant’Andrea, ma anche da quel campo egli continua a “fare la carità”, dispensando grazie e favori a chi lo invoca, al punto che quarant’anni dopo devono a furor di popolo esumare il suo corpo incorrotto e portarlo in chiesa. A canonizzarlo, però, nessuno ci pensa.
Ci vuole un grosso miracolo, cinque secoli dopo, in favore del re Filippo II a sbloccare la situazione.
E il 25 maggio 1622 Papa Gregorio XV gli concede la gloria degli altari insieme a quattro “grossi” Santi (Filippo Neri, Teresa d’Avila, Ignazio di Loyola e Francesco Saverio) in mezzo ai quali, qui in terra, l’illetterato contadino si sarebbe sentito un po’ a disagio.
E da allora, come recita l’enciclopedia dei santi, diventa il “patrono degli affittuari agricoli, dei birocciai, di Centallo e di Verzuolo”. (Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Nasce in una Spagna che per buona parte è in mano araba, e nell’infanzia sente raccontare le gesta di tre grandi condottieri.
Ecco Alfonso VI il Bravo, re di Castiglia e di León, che ha conquistato tante città. E poi Yusuf ibn Tashufin, capo della dinastia musulmana degli Almorávidi, che ha sconfitto Alfonso nel 1081 e ha incorporato i domìni arabi di Spagna nel suo impero nordafricano.
Infine, c’è il condottiero dei condottieri, l’eroe nazionale Ruiz Díaz de Bivar detto il Cid, el que en buena çinxo espada (colui che in buon’ora cinse la spada).
Isidoro non ha spada né cavallo. Orfano del padre fin da piccolo, va poi a lavorare la terra sotto padrone, nelle campagne intorno a Madrid.
A causa della guerra, cerca rifugio e lavoro più verso nord, a Torrelaguna.
E vi trova anche moglie: Maria Toribia, contadina come lui.
Isidoro è un credente schietto. Partecipa ogni giorno alla Messa mattutina, e durante la giornata lo si vede spesso appartato in preghiera.
Questo gli tira addosso le accuse di altri salariati: ha poca voglia di lavorare, perde tempo, sfrutta le nostre fatiche.
È già accaduto agli inizi, nelle campagne di Madrid; poi continua a Torrelaguna, e più tardi a Madrid ancora, quando lui vi ritorna alla fine dei combattimenti.
A queste accuse Isidoro non si ribella, ma neppure si piega. Il padrone è preoccupato, non si fida di lui?
E allora sorvegli, controlli, verifichi i risultati del suo lavoro... E questo fa appunto il padrone, scoprendo che Isidoro ha sì perso tempo inginocchiandosi ogni tanto a pregare, ma che alla sera
aveva mietuto la stessa quantità di grano degli altri.
E così al tempo dell’aratura: tanta orazione pure lì, ma a fine giornata tutta la sua parte di terra era dissodata.
Juan de Vargas si chiama questo proprietario, che dapprima tiene d’occhio Isidoro con diffidenza; ma alla fine, toccata con mano la sua onestà, arriva a dire che quei risultati non si spiegano solo con la capacità di lavoro; ci sono anche degli interventi soprannaturali: avvengono miracoli, insomma, sulle sue terre.
E altri diffondono via via la voce: in tempo di mietitura, il grano raccolto da Isidoro veniva prodigiosamente moltiplicato.
Durante l’aratura, mentre lui pregava in ginocchio, gli angeli lavoravano al posto suo con l’aratro e con i buoi. Così il bracciante malvisto diventa l’uomo di fiducia del padrone, porta a casa più soldi e li divide tra i poveri.
Né lui né sua moglie cambiano vita: è intorno a loro e grazie a loro che la povera gente incomincia a vivere un po’ meglio.
Nel tempo delle epiche gesta di tanti conquistatori, le imprese di Isidoro sono queste, fino alla morte. A volte certi suoi atti fanno pensare a Francesco d’Assisi. Per esempio, quando d’inverno si preoccupa per gli uccelli affamati: e per loro, andando al mulino con un sacco di grano, ne sparge i chicchi a grandi manciate sulla neve; ma quando arriva al mulino, il sacco è di nuovo prodigiosamente pieno.
Lavorare, pregare, donare: le sue gesta sono tutte qui, e dopo la morte lo rendono famoso come Alfonso il Bravo e come il Cid.
Nel 1170 il suo corpo viene deposto nella chiesa madrilena di Sant’Andrea, e col tempo la sua fama si divulga in Spagna, nelle colonie spagnole d’America e in alcune regioni del Nordeuropa.
Nel 1622, Isidoro l’Agricoltore viene canonizzato da Gregorio XV (con Ignazio di Loyola e Francesco Saverio).
Nel 1697 Papa Innocenzo XII proclama Beata sua moglie Maria Toribia.
Le reliquie di Sant’Isidoro si trovano ora nella cattedrale di Madrid.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Liberatore - Vescovo e Martire (15 maggio)
Santo vescovo venerato a Benevento, pur non essendo stato vescovo di questa città; venerato anche in località vicine ed in Campania il 15 maggio.
Di lui non si sa praticamente niente, ma i migliori studiosi agiografi, sono concordi ad identificarlo con il celebre Sant'Eleuterio o Liberatore vescovo dell’Illiria.
Gli “Acta” che lo riguardano sia greci che latini, sono molto leggendari, esaminiamo per brevità solo la versione latina che parte comunque da elementi di quella greca.
Eleuterio (Liberatore) era figlio del defunto console Eugenio e viveva con la madre Anzia a Roma; fu ordinato diacono, sacerdote e vescovo da Aniceto, evidentemente un vescovo metropolita e poi da questo inviato nell’Apulia nella antica città di Aeca come vescovo.
Ritornato a Roma insieme alla madre Anzia, fu messo al giudizio dell’imperatore Adriano, conclusasi con la condanna a morte per tutti e due; la versione greca dice il 15 dicembre 130 ca., quella latina dice il 18 aprile.
La qualifica di vescovo dell’Illiria che lo distingue nell’elenco dei Santi è opera di Cesare Baronio che l’ha inserita nel Martirologio Romano, prendendola da testi greci.
Da questo punto vi è un moltiplicarsi di date di celebrazione sia come Eleuterio, sia come Liberatore, mentre numerose chiese sorgevano in suo onore a Roma, Nepi, Vasto, Parenzo d’Istria, Aeca, Chieti, Benevento, Salerno, Sulmona, Mugnano del Cardinale, Ariano Irpino, Terracina, Arce, Canne in Puglia; come pure al suo nome Liberatore è dedicato il famoso monastero di Maiella.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Liberatore, pregate per noi.

*Santi Pietro, Andrea, Paolo e Dionisia - Martiri (15 maggio)

sec. III
Martirologio Romano:
A Lámpsaco in Ellesponto, nell’odierna Turchia, passione dei Santi Pietro, Andrea, Paolo e Dionisia, martiri.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Reticio - Vescovo (15 maggio)
IV secolo
Martirologio Romano:
Ad Autun nella Gallia lugdunense, in Francia, San Retizio, vescovo, ricordato da Sant’Agostino per la sua grande autorità di presule nella Chiesa e da San Girolamo come grande esegeta della Sacra Scrittura.
San Reticio fu vescovo di Autun in Burgundia all’inizio del IV secolo e la tradizione vuole che sia stato proprio lui a trasmettere i rudimenti della fede cristiana all’imperatore Costantino il Grande.
Prese parte anche al sinodo tenutosi in Laterano nel 313, durante il pontificato di Milziade, che si schierò in favore di Ceciliano, vescovo legittimo di Cartagine, contro Donato ed i suoi seguaci.
Tutto ciò accadde solamente un anno dopo la celebre vittoria di Costantino sul ponte Milvio ed un anno prima dell’elezione di San Silvestro, quel Papa che convocò il primo concilio di Arles, ove furono confermate le decisioni antidonatiste.
San Reticio è ricordato da Sant’Agostino come vescovo di grande autorità nella Chiesa e San Girolamo lo dice egregio narratore della Sacra Scrittura. Figura di primo piano nel calendario di Autun, il Santo è anche citato dal Martyrologium Romanum in data odierna 15 maggio.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Reticio, pregate per noi.

*San Ruperto di Bingen - Eremita (15 Maggio)

IX secolo
Martirologio Romano:
A Bingen sul fiume Reno vicino a Magonza, nel territorio dell’odierna Germania, San Ruperto, che, duca, partito giovane in pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli, al ritorno nei suoi domini, fece costruire molte chiese e a soli diciannove anni si addormentò nel Signore.
San Ruperto era nativo di Bingen, nei pressi di Magonza nella Renania-Palatinato.
Esponente di una famiglia ducale, si consacrò con sua madre al Signore durante un pellegrinaggio a Roma sulle tombe degli apostoli.
Tornato in patria, promosse l’edificazione di numerose chiese per poi stabilirsi a Bingen e condurre vita eremitica con la sua genitrice.
Morì prematuramente all’età di soli vent’anni.
Una testimonianza della celebrazione della sua festa è sita nei calendari di Magonza e del LImburgo ed ancora oggi è riportata dal Martyrologium Romanum in data odierna 15 maggio.
Il suo culto fu promosso dalla celebre Santa Ildegarda di Bingen.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ruperto di Bingen, pregate per noi.

*San Severino di Settempeda (di San Severino Marche) - Vescovo (15 maggio)
Sec. V-VI
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Settémpeda nelle Marche, San Severino, vescovo, dal quale questa città prese poi il nome.
San Severino vescovo, patrono della città, era nato a Septempeda, l'odierna San Severino Marche (MC), da nobile famiglia cristiana alla fine del V secolo.
Le poche notizie che si hanno di lui sono derivate da una "Vita" scritta tra il VII ed il IX secolo, ripresa in un rifacimento tardivo che amplia ed arricchisce di episodi l'antico testo, già
leggendario, a scapito della verità storica.
Dalla "Vita" sappiamo che Severino, insieme al fratello Vittorino, alla morte dei genitori rinunciò ad un'esistenza facile ed agiata e si spogliò di tutti i suoi beni per darsi ad una vita di solitudine, di preghiera e di penitenza sul Monte Nero.
Per la sua fama di santità il clero e il popolo, morto il vescovo di Septempeda, lo elessero suo successore, e tale fu ordinato a Roma da Papa Vigilio. Morì un 8 gennaio mentre i Goti muovevano alla conquista del Piceno.
La "Vita" manca di ogni riferimento cronologico, ma tutta la tradizione locale pone i termini del suo episcopato tra il 540 e il 545. Sempre secondo la tradizione, il suo corpo venne sepolto nella cattedrale di Septempeda e occultato sotto un altare laterale al sopraggiungere dei Goti.
Fortuitamente ritrovato nel 590, fu portato il 3 novembre di quell'anno nel nuovo abitato di Monte Nero, che da lui prenderà il nome, in un luogo sacro sull'area in cui il santo aveva vissuto vita eremitica.
La chiesa, costruita per concessione del vescovo Eudo nel 944, sarà poi ingrandita ed abbellita e solennemente consacrata l'8 giugno 1198.
Le spoglie del santo, nuovamente occultate nel 1197 per il timore di profanazioni, furono ancora una volta ritrovate il 15 maggio 1576 durante i lavori di ampliamento del presbiterio.
(Fonte: Da "San Severino terra di santi", a cura dell'Archeoclub di San Severino e della Biblioteca Comunale "F. Antolisei)
Giaculatoria - San Severino di Settempeda, pregate per noi.

*San Simplicio di Fausania - Vescovo e Martire (15 maggio)
A celebrare il nome del Santo vescovo a Olbia è la basilica che gli è dedicata, uno dei massimi monumenti romanici della Sardegna, completamente in granito, risalente all'XI secolo.
Cippi di età romana e ritrovamenti di varie epoche storiche (cartaginese, romano, paleocristiano, con reperti fino al tardo Medioevo) fanno dedurre che l'area sulla quale si scelse di edificare la basilica fosse un luogo di particolare valore simbolico. (Avvenire)
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: In Sardegna, San Simplicio, sacerdote.
Purtroppo non vi sono certezze sulla vita di questo santo, le fonti che lo ricordano sempre al 15 maggio, sono tre e danno versioni diverse.
La prima ‘passio’ pervenutagli dalla Sardegna, indusse il grande Cesare Baronio ad inserirlo nel ‘Martirologio Romano’ come vescovo di Fausania (Terranova – Pausania), nome fino al 1939 dell’odierna Olbia (SS), morto martire sotto Diocleziano (243-313).
La seconda fonte è il ‘Martirologio Geronimiano’ che lo ricorda nel giorno della sua festa con queste parole: “In Sardinia Simplicii presbiteri”, in effetti un Santo di nome Simplicio è realmente esistito ma era un sacerdote non vescovo.
Una terza fonte cioè una ‘passio’ più recente lo ha raggruppato con i Santi Martiri Gabino, Proto e Gennaro, Saturnino, di Cagliari, ma non è di nessun valore storico.
Non vi sono purtroppo altre notizie, mentre il suo culto si affermò nella regione dell’antica città di Olbia, di cui è il patrono e nel secolo XI gli venne eretta una chiesa, romanica, che è attualmente il maggiore monumento cittadino, costruita tutta in conci di granito, di rudi forme, con facciata di tipo pisano.
Il nome Simplicio è stato portato da un Papa Santo (468-483) e da altri undici santi martiri e non; inoltre dal filosofo neoplatonico del V-VI secolo venuto ad Atene dalla Cilicia, scrisse importanti commenti alle opere di Aristotele.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Simplicio di Fausania, pregate per noi.

*San Witesindo di Cordova - Martire (15 maggio)
+ Cordova, Spagna, 855
Martirologio Romano:
Presso Córdova nell’Andalusia in Spagna, commemorazione di San Vitesindo, martire, che per timore dei Mori abbandonò la fede cristiana, ma, rifiutatosi poi di praticare pubblicamente il loro culto, fu ucciso in odio alla fede cristiana.
I racconti agiografici sono soliti sottolineare l’estrema fortezza e risolutezza dei martiri, proponendoli magari come modelli di vita cristiana ancor prima del martirio.
In realtà i martiri cristiani provengono da diverse realtà e talvolta la decisione di affrontare il martirio in odio alla fede è abbastanza improvvisa ed inattesa.
Il Santo venerato in data odierna, Witesindo, fu uno di coloro che per paura degli oppressori mussulmani rinnegarono apparentemente il cristianesimo per l’islam, in una società oppressa dai dominatori stranieri nella Spagna meridionale del primo Medio Evo.
In verità egli aveva in privato continuato a praticare la religione cristiana durante il regno dell’emiro Maomentto I, nella seconda metà del IX secolo.
Un giorno, per un motivo a noi sconosciuto, Witesindo si fece coraggio e mutando atteggiamento confesso apertamente la propria fede. Rifiutatosi dunque di esercitare in pubblico il culto islamico, fu condannato a morte ed ucciso.
La data esatta della sua morte è a noi sconosciuta e la memoria stessa del suo martirio sarebbe caduta nell’oblio se non fosse stato citato da Eulogio nel suo “Memorialis Sanctorum”, pubblicato nel 1574.
La sua festa, celebrata da sempre a Cordova il 15 maggio, è oggi riportata anche dal Martyrologium Romanum.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Witesindo di Cordova, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (15 Maggio)
*San Torquato - Vescovo

*Santa Rosella - Martire

Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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